Nonostante alcuni recenti passi avanti, risulta ancora lontano l'obiettivo di decarbonizzare il settore marittimo. L'Organizzazione marittima mondiale (Imo) lo scorso 11 aprile durante cinque giornate di negoziati tra 175 Paesi ha definito un pacchetto di misure per eliminare le emissioni nel settore marittimo, oggi responsabile di circa il 3% delle emissioni globali di CO2. Ben più di quanto producano potenze industriali come Germania e Giappone. Il "Net-Zero Framework" proposto dal Comitato per la protezione dell'ambiente marino (Mepc 83) dell'Imo rischia però di essere inefficace a fronte di un problema colossale.
Sebbene le misure prevedano dal 2028 limiti obbligatori alle emissioni delle navi e un sistema di tassazione globale che colpisce chi ne produce in grandi quantità, queste decisioni sono insufficienti perché permetteranno solo una riduzione assoluta dell'8%, dato lontano dal -30% corrispondente alla tappa intermedia verso lo zero previsto per il 2050. Inoltre, Transport e Environment, una delle principali organizzazioni non governative europee sul clima, ha spiegato che nonostante la tassa permetta di ottenere circa 10 miliardi di dollari l'anno fino al 2035, questa cifra non potrà essere utilizzata da subito perché è necessario istituire prima un fondo "net zero" guidato da Imo.
L'accordo è stato comunque presentato come il migliore possibile. L'imposizione di misure più stringenti, infatti, avrebbe potuto far saltare il tavolo delle negoziazioni, soprattutto dopo il ritiro degli Stati Uniti e la resistenza da parte di Paesi esportatori di petrolio e di grandi nazioni marittime asiatiche. E nonostante i criteri poco severi, sembra difficile raggiungere gli obiettivi: ancora oggi il 93% della flotta mondiale utilizza combustibili fossili e solo il 7% il Gnl. Le nuove commesse cercano di utilizzare combustibili alternativi, ma per mettere in pratica un cambiamento reale sarebbe necessario un adeguamento infrastrutturale del sistema portuale che richiede molto tempo e per quanto riguarda l'adattamento dei porti europei circa 24 miliardi di Euro. Entro il 2050 i fossili, su cui Asia-Pacifico e altre regioni continueranno ad affidarsi, rappresenteranno ancora il 70% del mix energetico. Europa e Nord America, invece, saranno in grado di utilizzare prima in forma maggiore biocarburanti e Gnl bio, ma solo dal 2040 i carburanti sintetici a idrogeno verde e zero emissioni potranno iniziare ad essere competitivi.
Una proposta che potrebbe essere risolutiva per questo problema è la propulsione nucleare, inizialmente con piccoli reattori modulari (Smr) da impiegare in ambito militare e successivamente in ambito commerciale. In tal caso è necessario però un profondo salto normativo, politico e culturale. Il nucleare potrebbe essere l'occasione per rilanciare la filiera industriale e attrarre investimenti soprattutto verso il business di Europa e Italia, riattivare poli produttivi e sviluppare un'occupazione qualificata.