L’industria navale e portuale europee in questi ultimi anni stanno sviluppando una sempre maggiore sensibilità per la tutela dell’ambientale. Non è una transizione scontata. Fino a pochi anni fa le navi erano alimentate quasi esclusivamente con propellenti di origine fossile, come l’olio combustibile pesante (Hfo, Hydrofluro-Olefins). Oggi invece è in atto una riconversione energetica testimoniata per esempio dalla elettrificazione delle banchine.
Basta dare uno sguardo a cosa accade nelle città di Rotterdam (Olanda), Anversa (Belgio) ed Amburgo (Germania) ed ai piani di ammodernamento dei loro porti. Si tratta dei tre scali cargo più trafficati d’Europa, che da soli rappresentano il 47% del traffico container nel Vecchio continente. Ognuno di questi porti ha puntato contemporaneamente su tre diverse tipologie di interventi, con relativi investimenti finanziari e tecnologici: l’elettrificazione delle banchine per alimentare le navi in sosta; l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili; la produzione di idrogeno tramite eolico.
E l’Italia? Purtroppo la riconversione energetica dei porti cargo è legata soprattutto al "Cold Ironing", ossia la fornitura di energia elettrica alle navi ormeggiate. Una tecnologia finanziata con 700 milioni di Euro dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). L’eolico e l’idrogeno sono rimasti marginali, limitando di fatto le prospettive di sviluppo sostenibile degli scali della penisola rispetto ai competitor internazionali.
Facciamo un semplice calcolo. Oggi il prezzo dell’energia elettrica in porto è compreso fra gli 0,11 Euro/KWh e gli 0,15 Euro/Kwh, che sale a 0,18 Euro/KWh se prodotta da fonti rinnovabili. Secondo uno studio promosso dalla Commissione europea, invece, lo sfruttamento dell’eolico nei porti abbasserebbe il costo dell’energia a circa 0,06 Euro/kWh. Un chiaro segnale che senza innovazione e sostenibilità ambientale il futuro del settore in Italia resterà più incerto.