Il crollo del ponte Morandi (oggi viadotto San Giorgio) di Genova nel 2018 ha innescato indagini circa le responsabilità tecniche sul disastro. Senza dimenticare i guadagni che la famiglia Benetton (fra i quali nessuno è stato indagato) ha ottenuto grazie alla gestione della rete autostradale di cui faceva parte l'infrastruttura, ossia la A10, controllata dalla società Autostrade per l'Italia (Aspi), di cui costituiva il tratto finale.
Mentre la società produceva dividendi milionari, gli investimenti per la manutenzione diminuivano. Dal 2010 al 2018 sono stati elargiti 7,45 miliardi di Euro di dividendi, ovvero l'88% degli 8,47 miliardi garantiti complessivamente ai soci. Nel frattempo gli investimenti in sicurezza sarebbero scesi da 1,5 miliardi di Euro del 2010 ai 773 milioni del 2018, come ricostruito dalla trasmissione televisiva "Report". Così adesso Cassa depositi e prestiti (CdP), società a partecipazione statale per lo sviluppo economico attraverso investimenti a lungo termine, ha chiesto ai nuovi soci di diminuire i dividendi, ma invano.
L'esperto di riciclaggio Gian Gaetano Bellavia aveva quantificato così la liquidità a disposizione dei Benetton tra il 2012 ed il 2018: da 3,5 a 1,5 miliardi di Euro. Nel dettaglio, nel 2017 c'è stata una ridistribuzione straordinaria dovuta ad una cessione di quote pari a circa 2,5 miliardi, di cui circa il 30% è entrato nelle casse della holding Edizione, che dal 2010 al 2018 ha incassato oltre 2 miliardi (500 milioni per ognuno dei fratelli Benetton: Luciano, Carlo, Gilberto e Giuliana), mentre nel 2018, l'anno del disastro, si sono divisi 160 milioni.
Cifre da capogiro che fanno venire il mal di pancia agli italiani. Eppure nel 2019, quando arriva il momento di annullare la concessione per la gestione autostradale, inizia nella maggioranza di Governo un rimpallo di responsabilità. Finisce che Atlantia è riuscita a cedere la società Aspi a Cassa depositi e prestiti al prezzo di 8,18 miliardi di Euro, senza dover pagare i 3,4 miliardi di risarcimenti che spetterà invece pagare a CdP. A quest'ultima non è restato che chiedere la "riformulazione delle previsioni statutarie in materia di distribuzione di dividendi".