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Fincantieri, piano industriale o libro dei sogni?

Il Gruppo chiuderà il bilancio 2022 in forte perdita

Il gruppo Fincantieri chiuderà il bilancio 2022 in forte perdita. Ed il rosso tingerà i conti anche nel 2023 e nel 2024. L’utile dovrebbe tornare solo nel 2025, mentre non si parla di dividendo, pagato l’ultima volta nell’aprile 2019. Queste sono le previsioni fatte nel piano industriale di Pierroberto Folgiero, il manager atterrato come un marziano sulla tolda di Fincantieri il 16 maggio scorso, per volontà del Governo DraghiFolgiero è totalmente inesperto di navi. Il Governo Draghi lo ha affiancato con un militare alla presidenza, Claudio Graziano, peccato che non arrivi dalla Marina ma sia un generale degli Alpini.

Per il colosso pubblico della cantieristica, che ha una quota del 40% del mercato mondiale delle navi da crociera ed una discreta posizione nelle navi militari, l’uscita di Giuseppe Bono dopo 20 anni al comando ha aperto un calvario. Il bilancio consolidato 2021, approvato dal precedente cda, dichiarava un incremento dei ricavi ai massimi storici, 6 miliardi e 662 milioni escluse le attività passanti, in forte progressione (+28%) rispetto ai 5,19 miliardi del 2020, ma un bel balzo anche rispetto ai 5,85 miliardi raggiunti prima del Covid, nel 2019. Il margine operativo lordo (Ebitda) aveva raggiunto “il livello record” di 495 milioni. Il bilancio 2021 si era chiuso con un piccolo utile netto, 22 milioni, comunque un segnale positivo dopo due anni difficilissimi, nei quali il gruppo Fincantieri aveva accumulato 388 milioni di perdite nette. In occasione del cda, il 23 marzo scorso, Bono aveva aperto alla possibilità di tornare ad una “sostenibile politica di distribuzione dei dividendi dal 2022”.

Ma poi Bono è stato allontanato, decisione motivata con l’età dell’ex-ad (78 anni), il quale è venuto a mancare l’8 novembre scorso, ed i conti di Fincantieri hanno mostrato una situazione totalmente diversa. Di sicuro il cambio di timoniere, dopo 20 anni, è stato accompagnato da una politica della ramazza contabile, come spesso accade nelle grandi aziende, soprattutto dell’area pubblica. Folgiero, che proviene da una multinazionale che costruisce e vende impianti industriali in tutto il mondo, Maire Tecnimont, a fine luglio ha presentato una relazione sui conti semestrali caratterizzata da massicce svalutazioni, accantonamenti e da un pesante deficit nella divisione infrastrutture, un’area estranea al core-business in cui Bono aveva tentato una diversificazione. Nella prima metà del 2022 i ricavi, senza le attività passanti, sono aumentati del 10% a 3,51 miliardi, ma la redditività è crollata. L’Ebitda è diminuito da 219 a 90 milioni, il risultato netto è negativo per 230 milioni, mentre c’erano 6 milioni di utile nel 2021.

Si può capire come Folgiero abbia fatto opera di prudenza, per riportare realismo nei conti dopo la lunga “monarchia” del predecessore. Ma le proiezioni e gli assunti del suo piano industriale non hanno convinto gli investitori che detengono quella fetta di capitale (cica il 28,5%) che non è di proprietà dello Stato attraverso (CdP Industria ha il 71,32%, azioni proprie 0,18%). La candidatura di Folgiero all’incarico di ad è stata ufficializzata da CdP il 20 aprile, quel giorno le azioni Fincantieri hanno chiuso a 0,6085 Euro. Il 16 maggio, giorno della nomina, erano scese a 0,532, il 27 dicembre erano a 0,527, il 13,4% in meno rispetto al giorno dell’annuncio che Folgiero avrebbe sostituito Bono. Nello stesso arco di tempo le azioni di Maire Tecnimont, la società di cui il manager era ad, sono passate da 2,996 a 3,07 Euro, quindi hanno guadagnato il 2,5 per cento. Sembra dunque che non ci siano rimpianti tra i soci di Maire per aver perso Folgiero, mentre ci sono forti preoccupazioni tra i soci di Fincantieri.

Il piano industriale 2023-2027 del gruppo, approvato dal cda il 15 novembre, “esprime l’ambizione del gruppo di diventare leader mondiale nella realizzazione e gestione a vita intera della nave digitale e green, per i settori del turismo crocieristico, della difesa e dell’energia”. Nella difesa “il gruppo intende potenziare la propria efficacia commerciale verso marine militari di primario rilievo nello sviluppo anche di nuovi progetti in mercati esteri accessibili, quali l’area asiatica ed il Medio Oriente”. Infine “Fincantieri continua ad essere prime-mover nel settore delle unità navali a supporto dello sviluppo dell'eolico off-shore”. 

La domanda che bisogna farsi è se Folgiero abbia le capacità per arrivare a questi risultati. Il nuovo manager vuole che l’azienda torni al mestiere di costruttore di navi, nella difesa vuole aumentare il valore aggiunto con l’attività di integratore di sistemi d’arma a bordo delle proprie navi, persegue un’alleanza più stretta con Leonardo. Folgiero si è avvicinato all’ad di Leonardo Alessandro Profumo, con il quale Bono non aveva rapporti, perché lo considerava inadeguato ad un ruolo che sognava di riconquistare. Un’intesa più stretta tra Fincantieri e Leonardo avrebbe una logica, i due gruppi hanno anche una società in comune creata per le fregate, Orizzonte Sistemi Navali, che però finora non ha funzionato bene. Ma la dipendenza di Folgiero da Profumo a molti è apparsa come un segno di debolezza, per la mancanza di conoscenza del settore. “Folgiero non conosce questo settore, la nomina è stata un grave errore”, dichiara un manager di punta dell’industria della difesa, evocando il precedente di Profumo, ex-banchiere messo dal Pd alla guida di Leonardo nel maggio 2017, dopo il triennio difficile del “ferroviere” Mauro Moretti. Guido Crosetto, prima di diventare ministro della Difesa, si è espresso con toni molto critici sulla nomina di Folgiero appena è stata annunciata, all’epoca era presidente dell’Aiad (Federazione aziende italiane aerospazio, difesa e sicurezza).

Il piano di Folgiero prevede un aumento dei ricavi a 8,8 miliardi nel 2025, quell’anno l’Ebitda dovrebbe raggiungere il 7% dei ricavi. Ma sarebbe una percentuale inferiore al 7,2% toccato nel 2021. Insomma, i conti di Fincantieri non saranno un granché nei prossimi anni, nella fotografia scattata dal piano industriale devono andare giù prima di risalire, mentre il portafoglio ordini, pur consistente, si sta riducendo: al 30 giugno scorso il backlog era pari a 24,1 miliardi, diminuito di 3,5 miliardi rispetto a 12 mesi prima. I nuovi ordini scarseggiano. Invece i debiti finanziari netti stanno aumentando, a fine giugno sfioravano i 3,3 miliardi, 214 milioni in più rispetto a giugno 2021.

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