Il presidente della Serbia, Aleksandr Vucic, ha allertato in queste ore le forze armate serbe affinché mantengano il massimo livello di prontezza ad un eventuale combattimento contro il vicino Kosovo. Lo ha annunciato il ministro della difesa serbo, Milos Vucevic, secondo il quale l'obiettivo di tale misura è quello di garantire "l'integrità territoriale e la sovranità della Serbia, proteggere i cittadini e prevenire qualsiasi forma terrorismo contro i serbi".
A determinare questa escalation è il fatto che dal 10 dicembre alcuni serbi residenti in Kosovo hanno eretto blocchi stradali per protestare contro l'arresto di un ex-poliziotto serbo, paralizzando il traffico verso due valichi di frontiera con la Serbia. Quest'ultima, infatti, non riconosce l'indipendenza proclamata nel 2008 dalla sua ex provincia meridionale, il Kosovo, popolato per la maggioranza da albanesi, in cui vivono circa 120.000 serbi. Già a novembre era andata in scena una protesta simile contro la decisione (ora sospesa) di bandire le targhe serbe utilizzate in Kosovo.
Belgrado ha rafforzato la presenza militare serba lungo in confine con il Kosovo, posizionando 5000 soldati (attualmente erano 1500), posti sotto il diretto comando del capo di Stato maggiore serbo, Milan Mojsilovic, che ha sottolineato come "la situazione in Kosovo è complicata". Pattuglie della Nato Peacekeeping Force in Kosovo (Kfor) sono presenti nella zona delle tensioni, dove sono state coinvolte in una sparatoria avvenuta il 25 dicembre.
Dura la replica del primo ministro kosovaro Albin Kurti: "Credo che il timore dei nostri partner ed amici occidentali risieda nei legami tra Belgrado e Mosca. Non sappiamo in che modo questi possano diventare operativi nel caso di un aumento delle tensioni verso una escalation nella parte settentrionale del Paese".